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Lucca e le Mura: itinerari del Risorgimento • La mostra

Questa mostra intende ripercorrere, attraverso lo studio della genesi, delle vicende e del destino di alcuni monumenti cittadini, le diverse fasi del Risorgimento italiano mettendo anche in evidenza i modi diversi con cui i lucchesi percepirono e interpretarono il messaggio unitario nel periodo compreso fra il 1861 e la fine dell'800.
Al centro di questa vicenda campeggiano le mura che i Baciocchi, con il decreto n. 36 del 18 ottobre 1810, avevano affidato alla cura e alla manutenzione – negandone però il possesso – del municipio di Lucca. Quando, nel dicembre del 1863, si cominciò a parlare di una loro possibile vendita (essendo le mura confluite fra i beni appartenenti al Demanio nazionale come tutti gli altri incamerati al momento dell'annessione degli Stati dell'Italia centrale al Regno sabaudo), le autorità cittadine presero subito contatti con quelle centrali per un eventuale loro riacquisto. Continuarono poi le medesime trattative con la Società Anonima per la Vendita dei Beni Demaniali appositamente costituita per anticipare allo Stato, sopraffatto da un imponente debito pubblico, una cifra annua corrispondente al valore degli immobili che avrebbe dovuto immettere sul mercato. Dopo lunghe trattative, infine, fissato il prezzo d'acquisto a £. 112.350 (dopo le 107.000 previste inizialmente), le mura vennero ricomprate dal Municipio con l'atto stilato, il 26 agosto 1866, presso il notaio Cesare Gherardi. Un buon affare, quindi, valutando la loro imponenza e considerando che Firenze l'anno precedente aveva pagato le proprie mura (per poi distruggerle per dare avvio al piano Poggi) £. 200.000 e che Livorno poté riacquistare un'ampia parte delle sue fortezze nel 1889 per £. 70.000. L'atto d'acquisto lucchese del 1866 costituì il primo passo fondamentale del lungo processo di riacquisizione della struttura difensiva cittadina terminato formalmente solo il 19 agosto del 1870 con la pubblicazione della legge n. 5703 nella Raccolta Ufficiale che approvava la vendita di beni stabili a trattativa privata e in cui erano incluse anche le mura di Lucca. Esisteva, comunque, un notevole divario fra quanto premesso nel contratto relativamente alla vendita totale delle mura e la descrizione delle particelle inserite nell'atto che riguardavano soprattutto l'area degli spalti. Non c'era perciò corrispondenza fra la porzione di mura effettivamente comprata e quella "taciuta" all'interno dell'accordo. Questa anomalia di far rientrare nel contratto solo quelle aree che non erano state assegnate, in precedenza, in uso al Comune, non poteva – come osserva Enrico Romiti – essere accidentale ma il prodotto di un'intesa fra la Società per la Vendita dei Beni Demaniali e il Comune probabilmente per abbattere il prezzo di stima. L'atto di compravendita, comunque, sancì e decretò il possesso dell'intera cerchia da parte dell'amministrazione cittadina.
Tre anni prima del contratto per l'acquisto delle mura, esattamente il 14 settembre, era stata inaugurata in piazza San Michele la statua di Francesco Burlamacchi a cui la storiografia dell'800 aveva assegnato il titolo di primo martire per l'Unità d'Italia essendo stato decapitato a Milano nel 1548 per avere sognato e operato per riunire assieme la Toscana a tutto svantaggio della dinastia medicea. Il Burlamacchi, con le spalle rivolte verso la basilica, non solo rappresentava l'emblema del contrasto cittadino e nazionale fra cultura cattolica e cultura ispirata agli ideali risorgimentali e massonici ma rifletteva anche quell'ideale sacrale del Risorgimento come sacrificio di sangue legato alla ricerca di una nuova religione civile, o meglio, delle nazione intesa come comunità sacrale . Lo stesso ideale educativo ed edificante si trova riflesso sulla facciata di San Michele dove l'ingegnere addetto al suo restauro, Giuseppe Pardini, collocò, dopo molte discussioni con gli altri membri della commissione preposta ai restauri, fra le protomi fantastiche, i volti di Vittorio Emanuele II, Cavour, Napoleone III, Pio IX e Dante Alighieri. La scelta era dovuta sicuramente all'intento di additare alle nuove generazioni l'esempio di uomini che avevano avuto un ruolo fondamentale per la civiltà moderna ma era anche un segno di riconoscenza nei confronti dello stato che aveva contribuito con una somma ingente alla ripresa dei lavori al prospetto della basilica interrotti per mancanza di fondi.
La facciata fu inaugurata nel 1866, l'anno dell'acquisto delle mura di Lucca e del restauro della torre Guinigi sempre ad opera di Giuseppe Pardini. Ma il 1866 fu anche quello della legge sulla soppressione degli Ordini e delle Corporazioni Religiose con tutto quello che comportò nel rapporto Stato-Chiesa a livello nazionale e nelle singole realtà. Questa vicenda, a Lucca, si intrecciò anche con l'acquisto da parte della Provincia, dell'ex palazzo Ducale (1867) e con la collocazione in alcune sue sale degli oggetti d'arte pervenuti al Comune in seguito alle soppressioni delle istituzione religiose per concessione del Governo italiano. Da qui – come ricorda Gioela Massagli – la nascita della pinacoteca come luogo di conservazione dei quadri donati da Leopoldo II e delle opere acquisite in seguito alle soppressioni ecclesiastiche.
La risposta iconografica – sostiene Romano Silva – di coloro che a Lucca si riconoscevano nella tradizione cattolica è il cenotafio, scolpito dallo scultore lucchese Vincenzo Consani, dedicato a Matilde di Canossa nella chiesa di San Giovanni (1872). Un'opera di grande valore simbolico – Matilde donò al papato gran parte dei suoi beni – sotto l'impressione della presa di Roma da parte dell'esercito italiano nel settembre 1870. Nello stesso anno, la Commissione Consultiva delle Belle Arti per la Provincia di Lucca faceva istanza al ministero della Pubblica Istruzione per riottenere una delle facciate del sarcofago di Ilaria del Carretto che, separata dal resto del monumento fino dal 1544, non era più stato possibile recuperare anche per la mancanza di sensibilità di alcuni illustri esponenti della cultura cittadina (in particolare di Ascanio Mansi che nel 1828 quando era ministro per gli Affari Esteri e Interni aveva rifiutato l'acquisto da parte di un antiquario). Sarebbero dovuto passare altre 15 anni di trattative non sempre facili perché (1887) la lastra, venisse trasferita nuovamente a Lucca dal Museo del Bargello di Firenze.
Frattanto nel 1876, cambiata la maggioranza di governo e salita al potere la Sinistra si affacciò sul panorama politico un ampio schieramento di uomini provenienti da esperienze mazziniane, democratiche o garibaldine. Gente che aveva giurato comunque fedeltà alle istituzioni monarchiche e grazie a cui divenne possibile recuperare le memoria del Risorgimento inserendola in una storia unitaria grazie anche al fatto gli «gli oppositori protagonisti dell'epopea erano già morti e che si poteva cominciare a immaginarli tutti quanti partecipi di una comune lotta contro lo straniero per il riscatto della patria, per l'affermazione della libertà»5. In mezzo quindi a grandi polemiche fra conservatori e radicali, ci ricorda Roberto Pizzi, nel 1883 venne inaugurato nel cimitero urbano il monumento al garibaldino-mazziniano Tito Strocchi realizzato da Artemisio Mani con il contributo della loggia massonica Francesco Burlamacchi. L'anno successivo, in seguito al ritorno dei liberali a Palazzo Santini (sindaco Achille Pucci) fu possibile anche comporre la lunga diatriba per l'erezione, spese di collocamento e adattamento della località per la già da tempo preventivata statua a Vittorio Emanuele II. Sistemata la piazza antistante la scesa a Porta San Pietro con la demolizione del Caffè esistente e suo spostamento verso l'interno del baluardo, il 28 agosto 1885 fu possibile inaugurare il monumento al sovrano artefice dell'unità d'Italia. L'opera in bronzo era stata concepita e realizzata dalla scultore Augusto Passaglia grazie anche al contributo e agli sforzi della locale Società Operaia.
Con l'inaugurazione – il 20 settembre 1889 – della statua marmorea a Giuseppe Garibaldi in piazza del Giglio, iniziò la serie dei monumenti ai padri laici della patria concepita dallo scultore Urbano Lucchesi, un'artista non molto conosciuto ma che ha lasciato un segno importante nella storia artistica cittadina dell'800 (ved. sale del Museo di Villa Guinigi). Del resto lo stesso Garibaldi si era molto adoperato nell'elaborazione di autentici miti anticlericali molti dei quali a svantaggio della Chiesa e del Papa. Di riflesso anche quest'opera venne realizzata grazie all'impegno di alcune associazioni fra cui quella Politica Progressista, la loggia massonica Francesco Burlamacchi e i Reduci delle Patrie Battaglie. L'eroe dei due mondi era rappresentato a figura intera e i due rilievi bronzei sul basamento raffiguravano rispettivamente lo sbarco dei Mille a Marsala e la battaglia di Calatafimi. Più modesto nelle proporzioni e più defilato nel contesto del tessuto cittadino (baluardo di San Regolo) appare il busto dedicato a Giuseppe Mazzini inaugurato il 16 marzo del 1690 a cui fece seguito il monumento a Benedetto Cairoli (1893: baluardo della Libertà) donato dai democratici lucchesi alla città, e il Genio Alato del complesso ai Caduti delle Patrie Battaglie – sempre di Urbano Lucchesi – in piazza delle Erbe rinominata per l'occasione e in mezzo a infinite polemiche fra Prefetto e Comune (nel 1895 c'era stata a Lucca una schiacciante vittoria della lista clericale), piazza XX settembre. Il quadro complessivo offre quindi l'immagine di una città particolarmente attiva che, nello spazio di pochi anni seppe, anche a prezzo di enormi sacrifici economici, riacquistare i maggiori simboli della propria storia e identità, profondamente immersa, nonostante la netta divisione e i contrasti anche feroci fra cattolici e laici, nel nuovo clima effervescente dell'Italia post unitaria e che trovò un suo riflesso e anche un momento unitario nella grandiosa esposizione di Arti e Mestieri del 1877.

Romano Silva
Carla Sodini